Same old story


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Ieri era la Befana e per la prima volta non ho avuto la calza. La Befana è una delle mie feste preferite, soprattutto da quando io e mia sorella siamo diventate abbastanza grandicelle da comprarci le "cose buone" da sole. Negli ultimi anni abbiamo ridimensionato un po' l'ammontare di zuccheri complessi, ma era sempre bello andare nella "busta della calza" e pescare qualcosa di diverso. 
La mia Befana ha suonato la sveglia presto, seguendo un po' la tradizione di vedermi sveglia all'alba per godermi la calza. Non avevo dormito molto, distrutta da un'insonnia a cui non saputo dare un nome. 
Ho rimesso il mio cartellino e la prima persona che ho incontrato  è stato proprio il mio Boss, nella nostra cucina, senza la sua solita giacca e cravatta. Ho rivisto anche alcuni dei miei studenti e ci siamo scambiati gli auguri. Ci sono cinesi che mi sorridono e io rispondo salutando tutti, anche se davvero non so chi siano. Ho aiutato un prof americano molto simpatico, abbiamo riso e ci siamo scambiati delle battute, neanche ci conoscessimo da una vita. L'ho aiutato con un lavoro che doveva fare e alla fine mi ha richiesto come mi chiamassi. 
E' stato bello tornare nell'ufficio amministrativo e augurare a tutti buon anno nuovo e tutti mi hanno salutata calorosamente.
Adesso sono in una posizione un po' scomoda, perché seguo i corsi del mio Boss, ma non sono la sua TA, sebbene mi abbia chiesto di continuare ad aiutarlo e gliene sia stato affidato un altro. Gli studenti mi chiedono se sia ancora io a tenere i seminari e lui mi ha detto che "pago il prezzo del mio successo", me l'ha ripetuto e io come mio solito non so accettare un complimento. La mia supervisor è disposta a pagarmi di più pur di farmi rimanere l'anno prossimo, mi fa il lavaggio del cervello per fare 'sto phd e io non riesco a decidermi. Mi sembra di essere attaccata ad un enorme elastico e appena mi pare di essere riuscita ad arrivare ad una decisione di qualsiasi natura, l'elastico ritorna e sono di nuovo punto e accapo.
Ho anni alle spalle in cui ho sempre fatto ciò che era necessario agli altri e ho reso tutti felici e contenti, senza preoccuparmi se le persone riconoscessero o meno il mio merito e dessero per scontato tutto quello che facevo.
So di essere schifosamente brava nel mio lavoro, perché il viziaccio di analizzare e il latente pessimismo mi permettono di evitare e risolvere molti problemi e qua sembrano tutti in attesa di qualcuno in grado di farlo.
Ho ancora difficoltà a fidarmi delle belle parole che mi dicono i miei capi. E non perché avverta il desiderio di compiacermi e sentirmele dire continuamente, quello che faccio è semplicemente quello che va fatto, se non lo facessi mi sentirai male, non è nella mia natura.
Ho passato una vita lavorando come un mulo in un'attività in cui credevo, e nemmeno venivo pagata, e ho mangiato montagne di merda. Credo sia normale che tenda a minimizzare quando mi fanno un complimento per il mio lavoro, è sostanzialmente una novità. E nonostante questo, temo che il pacco sia dietro l'angolo e non sono abbastanza oggettiva da capire se sia una paura infondata o un campanello d'allarme del mio istinto.